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- La Conservazione del Patrimonio documentario
![]() 1 – Il quadro generale della documentazione
La mia ultima responsabilità istituzionale nell’ambito dell’Amministrazione dei beni culturali, e particolarmente in quello dei beni documentari, ha indubbiamente acutizzato la mia sensibilità di archivista di Stato verso i temi più direttamente rivolti alla prevenzione, alla tutela, alla conservazione attiva, all’intervento e quindi al recupero del bene archivistico, su qualsiasi supporto esso si presenti, salvaguardando non solo le informazioni che il bene contiene, ma la stessa materia e il prodotto manufatto. Essere il direttore del Centro di fotoriproduzione legatoria e restauro degli Archivi di Stato mi ha dato la preziosa opportunità di conoscere su larga scala problemi che avevo intuito, magari indirettamente attraverso la lunga attività di sorveglianza sugli archivi attivi e di deposito e attraverso quella della gestione degli archivi storici, prima come funzionario, poi come dirigente di un istituto di conservazione. Se i problemi oggi sono enucleati e distinti nella loro gravità e urgenza per le soluzioni che richiederebbero, non altrettanto definiti sono gli strumenti, la cultura, le professioni e i mezzi finanziari per operare con qualche speranza di conseguire risultati positivi. E tutto questo nel nostro Paese si deve confrontare con un patrimonio che anche in campo documentario non ha simili in Europa e nel mondo intero, non solo per estensione temporale (secc.IX-XX), ma anche per quantità, poiché possediamo il 60% del patrimonio documentario esistente nel mondo.
Il Novecento ci ha consegnato e continua a consegnarci archivi di estrema importanza e di cospicua consistenza. Il secolo trascorso ha prodotto un patrimonio librario e archivistico che, da un lato corre i maggiori rischi di conservazione,[1] e, dall’altro rappresenta uno degli ambiti in cui è tangibile la debolezza di una concezione della tutela incentrata semplicemente sull’apposizione di vincoli o di divieti. In quest’ottica gran parte di quel patrimonio è destinato a scomparire, anche perché buona parte di esso giace spesso incustodito negli archivi di deposito degli uffici che hanno prodotto le carte – e questo è il caso più fortunato – o delle strutture che ne hanno “ereditato le spoglie” a seguito dei larghi processi di trasformazione dei soggetti statali o pubblici in aziende e in enti di natura privata, processo che ha ampiamente mutato il volto dell’Amministrazione pubblica, senza che si avesse sufficiente attenzione per le ricadute sugli archivi e la loro idonea conservazione, a sostegno dei nuovi uffici e in ragione della duratura conservazione per la ricerca. Neppure un cenno alla sorte degli archivi è stato inserito nell’ampio quadro normativo che ha accompagnato e accompagna la vasta opera di ammodernamento della PA, benché il legislatore abbia emanato nel corso degli anni ‘90 e all’inizio di questo secolo leggi e codificazioni che mettono in rilievo l’importanza di una corretta gestione dei sistemi documentari nella PA. Ne sono testimonianza le ampie codificazioni degli anni iniziali di questo nuovo millennio (Codice del documento amministrativo, Codice della tutela dei dati personali, Codice dell’amministrazione digitale). Ma a fronte di tutto questo, assistiamo da alcuni decenni al degrado e alla scomparsa della cultura documentaria in quasi ogni settore delle amministrazioni pubbliche e private.
2 –L’inflazione documentaria e la necessità di una corretta e sana selezione dei documenti
Se sempre più oggi la produzione documentaria è inflazionata in ragione del sempre maggiore articolarsi delle attività umane, sia dei soggetti individuali che dei corpi sociali, politici ed economici, sempre più diviene incalzante l’esigenza a dissolvere, distruggere dopo aver scelto, la più parte di quella produzione altrimenti a rischio della totale dispersione. Distruggere, quindi, decidere per l'eliminazione di molto, per avere la possibilità di mantenere ciò che il nostro tempo ritiene essenziale oggi, per domani, affinché si possa essere rappresentati per quello che oggi vogliamo, perché resti l'immagine più qualificante di ciò che noi vogliamo resti impresso a testimone del nostro tempo nel mondo di domani. E questo perché essere curatori del nostro passato significa esserlo del nostro futuro. Paola Carucci, in un bel saggio di diversi anni fa, sosteneva a ragione che lo scarto è un momento di qualificazione della fonte documentaria.
Le tecnologie attuali, che pure sono lo strumento formidabile, massivo e pervasivo per la comunicazione delle informazioni e della conoscenza, e che ci richiedono un rapido nonché costante adeguamento alle loro potenzialità, sono anche il fattore più rilevante, con la loro fragilità e la loro immaterialità a sospingerci verso le incertezze della conservazione nel tempo dei beni documentari del nostro presente e a ricercare con crescente preoccupazione modi sempre più raffinati ed efficienti per salvare quella memoria sempre più impalpabile e fugace. La moderna tecnologia con i suoi sistemi di memorizzazione ha fatto emergere grossi problemi per i bibliotecari e gli archivisti.
La conservazione delle memorie digitali, infatti, richiede oggi una continuità serrata tra la produzione dei file digitali e il loro trasferimento nei settori preposti alla successiva conservazione nel tempo. In poche parole sono da accorciare drasticamente i tempi, che pure la normativa continua a mantenere estremamente lunghi, per i versamenti nei luoghi deputati ad accogliere la documentazione digital born. Nelle parole di un collega tedesco c’è il condensato di quella preoccupazione, quando sostiene che le memorie digitali possono portarci in acque anche più profonde e insondabili della carta acida.
Gli scienziati da tempo ripetono che il ventesimo secolo rischia di essere, insieme a quello iniziato, il “secolo della grande cancellazione” del patrimonio documentario e tale paura induce a pensare ai limiti della nostra permanenza e della nostra impronta attuale sul Pianeta, dove la nostra realtà più concreta sono i nostri pensieri, le nostre azioni conseguenti e documentate, senza i quali noi non saremmo. Di fronte alla nostra attuale consapevolezza c'è un'epoca, la nostra, così fragile quanto insicura nel conservare, che è però produttrice immensa di informazione e al tempo stesso consumatrice avida e insaziabile dell'informazione. Tanti i supporti, tanti i prodotti: documenti, libri, foto, nastri, film, video, CD, DVD ecc.; questi ultimi sono spesso le fonti indispensabili di molte discipline di studio, la sola vera rappresentazione di culture tramandate oralmente e in un’epoca di comunicazione elettronica a motivo del loro costante aumento, costituiscono una delle fonti principali della nostra epoca e della civiltà contemporanea.
Il quesito che ci si pone allora è quello del come realizzare "una città della difesa dal tempo", come astrarci dalla mole immensa delle informazioni per vagliarle e archiviarle a futura memoria, al fine di creare i presupposti per il mantenimento della nostra identità e continuità nella storia, attraverso l'ausilio delle tecnologie per la conservazione dei supporti materiali e immateriali. Quello che oggi si rischia è l'eclisse, come fu detto alcuni anni fa in un convegno ("L’ eclisse delle memorie") presso l'Accademia dei Lincei a Roma. L'eclisse della memoria scientifica e l'eclisse della memoria umanistica, letteraria e filosofica, potrebbero in qualche misura verificarsi, benché, a causa della loro diversità, siano portatrici di conseguenze non identiche. Per la ricerca scientifica fondamentale è la conservazione dei risultati più recenti; quanto meno la pubblicazione e la comunicazione degli ultimi risultati e delle scoperte, mettono a disposizione e contengono anche il cammino percorso in precedenza e la conservazione del patrimonio pregresso è in qualche misura assicurata, anche se è comunque di grande rilevanza conoscere il percorso che ogni ricerca o scoperta ha effettuato. La raccolta e la conservazione dell’universo umanistico è problema ancora più arduo, perché esso è tutto insostituibile pur nel suo dominio sterminato. In questa sfera è fin troppo evidente che non si possa prescindere dalla conoscenza dei diversi contributi dati nel tempo.
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Ma tornando ai materiali documentari prodotti nel XX secolo, va anche detto che circa il 60% rimane ancora oggi presso gli uffici che li hanno posti in essere e una delle ragioni di questo infausto fenomeno è data dalla carenza di spazi adeguati e funzionali ad accoglierli secondo i termini di legge, trascorso quel lasso di tempo in cui, presumibilmente essi non servono più alle esigenze del servizio[2].
Sappiamo che l'umanità sta rischiando di perdere il suo patrimonio culturale o più in generale ciò che è più essenziale, ovvero quello della memoria.
Il nostro patrimonio sta volatilizzandosi anche fisicamente, ad esempio, con il peggioramento della qualità della carta che conduce i documenti, libri, i manoscritti all' autodistruzione o alla deperibilità dei supporti che contengono informazioni visive, dalla pellicola fotografica a quella cinematografica - oppure rischia di restare un forziere chiuso per sempre a motivo del rapidissimo succedersi di tecnologie, standard e supporti fisici per l'archiviazione, che fanno diventare obsoleti quelli precedenti e, con essi, le informazioni, analogiche o digitali che conservano. Stiamo scoprendo improvvisamente che il nostro modo di conservare è alquanto debole.
Oggi alla comunità degli archivisti, a qualsiasi Paese essi appartengano, è ben presente il diritto-dovere della selezione consapevole e meditata. E’ in questo particolare segmento della professione degli archivisti, specie italiani, perché impegnati nella loro attività anche sul fronte degli archivi correnti, che avvengono le scelte più difficili, i cui criteri e le cui coordinate metodologiche dovrebbero germogliare da una profonda conoscenza delle carte, da una preparazione culturale, tecnica e, direi, etico-politica, per usare un’espressione passata di moda. Il risultato, infatti di quelle scelte è l’immagine o l’insieme delle immagini di un’epoca, di un settore specifico, come ho già detto.
Spesso ai più avveduti capita di chiedersi quale è il grado di consapevolezza che abbiamo di tale “missione” e, ancora, quali sono i valori e il loro grado di condivisione a guidarci in modo corretto e sicuro. Nel caso in cui sembra pretendersi troppo da parte dei professionisti della documentazione, perché il loro grado di preparazione non sembra adeguato per decidere della sopravvivenza o della distruzione del patrimonio di carte su cui sono chiamati a decidere, quali altri soggetti o professionisti dovrebbero affiancarli? Escludo che questi possano essere, anche solo parzialmente, gli utenti finali o i futuri fruitori.
Il mestiere dell’archivista, come ci è stato sempre ricordato negli anni della nostra formazione, doveva assumere l’imparzialità a carattere cardine, anche quando si sceglie e si seleziona la documentazione, benché sempre guidato da convinzioni e criteri in vigore in quel momento. Si trattava di definire la fonte documentaria quale quella da tramandare alla perenne conservazione, sottraendole il più e il troppo che l’avrebbe resa illeggibile e inconsultabile. La drastica eliminazione è sembrata per molto tempo essere un compromesso o un rimedio per rendere la documentazione, particolarmente del secondo Novecento, consultabile e liberarla da una mole cartacea che avrebbe scoraggiato anche il più infaticabile e solerte studioso. A me sembra, tuttavia, che oggi la situazione abbia subito un cambio di rotta verso quella che è stata chiamata la “costruzione della memoria”. Tanto più ciò risponde ai fatti se consideriamo la compresenza di diverse tipologie di fonti a disposizione della ricerca in tutti i campi della conoscenza. In certo modo la memoria viene costruita e ricostruita attraverso l’utilizzo di molteplici risorse, con la loro messa a confronto o in complementarità, integrandole e scomponendole, creando una sorta di fonte nuova, potenziata e capace di aprire prospettive nuove, anche grazie all’uso sempre più ampio delle moderne tecnologie.
L’archivista è assimilato sotto questa angolatura ad un “architetto della memoria”, le cui forze si dispiegano nella progettazione, nella esecuzione, nel controllo e nel collaudo di quello che possiamo denominare “il cantiere della memoria.
Ma ci sono anche altri problemi sottesi alla selezione e alle scelte che quotidianamente operiamo. Tra questi il dilemma se siamo o no in grado di rappresentare e lasciare traccia di ogni attività umana e della sua organizzazione anche attraverso il sapere che è in grado di esprimere. Siamo tutti consapevoli come oggi le conoscenze e le sue espressioni concrete siano fatte da una molteplicità di fattori. Il sapere è qualcosa di organizzato e sistematico, dove i soggetti e gli attori preposti elaborano e rielaborano le conoscenze e le trasmettono sincronicamente e diacronicamente al pubblico e alle generazioni successive. Accanto a questo patrimonio che cerchiamo di conservare, convive oggi come ieri il sapere diffuso o i saperi diffusi, come prodotto spontaneo delle attività e della creatività individuale e di gruppo. E’ il mondo delle culture popolari, ma anche delle culture che vengono sempre più chiamate “intime” quelle delle memorie, dei diari, delle storie individuali e di famiglia, delle collezioni, ecc. E’ questo un sapere che non poggia, né fa riferimento a istituzioni specifiche o a strutture adeguate di conservazione. Sono, in poche parole, tracce esposte a facile dispersione.
Nel mondo contemporaneo questi due saperi sono sempre più contigui e in perenne interazione. Questo implica e costringe il difficile mestiere di interpretare e di trasmettere la selezione, la trascrizione dei due saperi o, quanto meno, di poter orientare la scelta di codici e di criteri per la loro salvaguardia, nella consapevolezza da parte dei più avvertiti che si tratta spesso di utilizzare strumenti non sempre coerenti e non sempre funzionali a tutti e due gli universi, così difformi, benché interagenti.
Anche qui l’attività di selezione di scelta è un imperativo forte, di natura culturale e etica nella drammaticità del suo contenuto e nelle modalità di esecuzione.
Questo a mio avviso è il contesto che tutti noi operatori culturali agenti nell’ambito della documentazione, sia essa archivistica che bibliografica, abbiamo di fronte e cui dovremmo far riferimento.
C’è poi tutto il versante delle funzioni e delle scelte pratiche che quotidianamente siamo chiamati a svolgere nell’espressione delle nostre responsabilità, e in cui volta per volta le nostre decisioni devono anche rispondere ad esigenze economiche, finanziarie, con l’esclusione di ogni altra alternativa sotto l’imperativo del calcolo costi-benefici. E questo è tanto più cogente quanto più sono scarse le risorse a disposizione.
Un ulteriore passo deve essere ancora compiuto, quello della sensibilizzazione al problema dei singoli cittadini, perché percepiscano la reale portata di questo problema della scomparsa possibile della “Memoria collettiva”, problema e minaccia che si stanno affacciando alla ribalta dei nostri luoghi di conservazione ogni giorno con maggiore evidenza. Bisogna far passare la comunicazione che non si tratta di un problema che interessa solo gli specialisti o gli addetti ai lavori, ma che è un problema che interessa tutti noi, perché è la nostra memoria che sta seriamente rischiando di sparire, non consentendoci più né la difesa dei nostri diritti, né di lasciare ai nostri figli quel patrimonio di cultura e di storia che noi abbiamo pure ereditato da chi ci ha preceduto.
3 – La prevenzione
Tutto questo preambolo ci induce ad individuare le metodologie di contrasto ai fenomeni naturali, come prima misura, ovvero a mettere in atto tutte quelle politiche che servano a porre un ostacolo ai disastri naturali. Il Blue Shield, emerito progetto del Consiglio internazionale degli Archivi (ICA), ha promosso non solo linee guida, ma ha effettuato corsi in varie aree del mondo per formare professionalità nella comunità archivistica, affinché gli istituti di conservazione mettessero in piedi gli strumenti di protezione del patrimonio. Questo significa redigere piani di emergenza dopo aver valutato i rischi correlati alla allocazione dei beni, siano essi documenti che libri.
Quale, dunque, la situazione dei luoghi di conservazione il Italia? Oggi quasi tutti gli Archivi di Stato, spesso ubicati in edifici storici, con cospicui problemi di adeguamento funzionale delle sedi, non presentano condizioni che li abilitino a ricevere i versamenti prescritti dalla legge. Per molti decenni si è trascurato il problema dell’edilizia archivistica, con il mancato reperimento di nuovi locali, con l’impossibilità di nuove costruzioni, che progettate ad hoc come è accaduto nella vicina Francia[3], o in Germania, avrebbero potuto meglio fronteggiare il fenomeno dell’afflusso di carte. Va anche ricordato che solo negli ultimi decenni si è rilevato un crescente interesse verso la fonte documentaria dell’ultimo secolo, a motivo del dilatarsi degli studi di storia contemporanea e del palesarsi di una domanda di fonti nuove per esigenze di ricerca, non afferenti necessariamente a discipline storiche, con il conseguente bisogno di nuove soluzioni quanto al reperimento di depositi definitivi delle serie documentarie selezionate per la conservazione permanente.
E’ quindi, solo [4]dagli ultimi venti anni che l’Amministrazione archivistica sta dedicando ampie e rilevanti risorse finanziarie alla ristrutturazione e all’acquisizione di nuovi edifici per accogliere la documentazione e dare una soluzione all’annosa difficoltà dei versamenti, troppo numerosi e consistenti per poterli ricevere nella loro totalità..
Tale politica dovrebbe essere anche affiancata da una attenta opera di sorveglianza e di vigilanza degli archivisti di Stato, sia nei confronti della documentazione statale che pubblica, non sempre facilmente esercitabile per questioni di inerzia degli uffici o per mancanza di sensibilità da parte degli stessi addetti alla tutela della documentazione prodotta, una volta affievolito l’interesse verso i propri archivi correnti e di deposito. E si sa bene che terminate o acquisite le finalità per le quali i documenti sono nati, si esaurisce anche l’interesse a preservarli dalla dispersione.
Va poi anche ricordato che per lungo tempo, anche nel nostro Paese, l’Italia, nel programmare interventi di tutela o di recupero attraverso il restauro, si è quasi sempre privilegiata la documentazione risalente ai secoli passati; la fragilità e la scarsa durata della documentazione cartacea degli ultimi decenni del XIX secolo e dei primi decenni del Novecento, su cui incombe la distruzione perché acida e quindi sottoposta a vera polverizzazione, nonché la rapida obsolescenza di quella connessa a tecniche e strumenti informatici, sono state per lungo tempo sottovalutate e specie nel nostro Paese il ritardo oggi accusato provoca notevole incertezza sui metodi di deacidificazione di massa, benché alcune occasioni di confronto e di discussione e di verifica sulle migliori soluzioni al problema, siano state realizzate negli ultimi anni[5]. Sia che la deacidificazione di massa debba essere vista come una misura di prevenzione o sia come un intervento curativo, oggi questo è un problema non più eludibile per interi archivi o collezioni e raccolte bibliografiche.
Ma accanto a questo va detto anche e, per contrapposto, che a causa dei moderni mezzi di comunicazione che certamente facilitano la ricerca, permettendo uno scambio di informazione sempre più rapido e spesso in tempo reale, si lasciano sempre meno tracce tangibili, per cui la sedimentazione di un vero archivio nel senso tradizionale, è sempre più problematica e comunque più episodica.
Certamente oggi, più di ieri, abbiamo maggiori margini per scegliere quali sistemi adottare per prevenire i danni della consultazione, quelli dell’inquinamento, quelli delle cattive condizioni ambientali, o per decidere quali trattamenti di massa applicare al recupero della documentazione minacciata. In questi ultimi anni il sostegno più significativo è venuto dalla ricerca scientifica, universitaria e non solo, che sta dedicando interi settori dei suoi programmi alle indagini sui modi non invasivi di controllo e di intervento sui beni culturali, avendo presente sia la conservazione che il restauro degli stessi. Ma se ampio è il ventaglio delle opzioni, non sempre è agevole il poter indirizzare le scelte verso una metodologia o un’altra. Penso alle difficoltà che negli istituti di conservazione e di fruizione dei beni culturali documentari incontrano giornalmente i colleghi, pressati da scelte che non è facile fare, ma che comunque vanno adottate alla luce, frequentemente di urgenze. E’ in grado di soccorrere la scelta solo una preparazione professionale sempre aggiornata e una buona informazione che oggi può essere acquisita più rapidamente e con maggiore efficacia.
Si apre, però, un altro capitolo nel quadro delle coordinate che presiedono le scelte e le strategie per la conservazione nel tempo della nostra memoria, ovvero la formazione continua degli operatori, non solo strutturati da un buon bagaglio culturale iniziale e da forti motivazioni, ma costretti a non ignorare più larghi settori della scienza e della tecnica, se non altro per poter coordinare e indirizzare le opportune decisioni da prendere in difesa del nostro prezioso patrimonio e per coordinare il lavoro delle professionalità che sono esecutrici di molte direttive. Un cospicuo numero dei problemi che sono alla base di ogni strategia potrebbero essere evitati con l’adozione di tecniche, specialmente di restauro, sempre più sofisticate, o meglio con l’impiego di sistemi di prevenzione in grado di ridurre al minimo i rischi di deterioramento dei supporti delle informazioni. Ma anche qui, tuttavia, all’origine di questi metodi e tecnologie di prevenzione/conservazione, c’è un aspetto economico che non può essere evitato, ma che spesso condiziona nella maggioranza dei casi l’effettiva possibilità del loro impiego.
Mancanza di risorse umane e finanziarie impongono, da un lato di riservare l’applicazione delle tecnologie della conservazione ai casi più urgenti e macroscopicamente più gravi, e, dall’altra a ricercare quei sistemi che, a parità di efficacia, risultino decisamente più economici. Ma chi decide e con quale competenza specifica?
In ogni caso ci si impone uno sforzo di ricerca sempre maggiore, considerati i parametri tecnici, economici, temporali da cui è condizionato e dobbiamo essere convinti che non può che essere uno sforzo condotto in collaborazione dei Paesi tecnologicamente più avanzati, per offrire a tutti, anche alle realtà meno fortunate e sviluppate, la possibilità di accedere, per i secoli futuri, al propri
4 – L’intervento dei progetti europei
Questo per significare che la conservazione dell’informazione e la sua piena fruizione a livello mondiale sono strettamente legate a responsabilità sia d’ordine morale che finanziario. Buona parte, infatti dei programmi di finanziamento della Comunità europea nel corso degli ultimi anni, si è rivolta all’intervento sui beni culturali documentari, favorendo progetti nati non solo dall’individuazione di interessi comuni nei vari Paesi europei, ma caratterizzati da metodologie innovative e dal concorso di bagagli scientifici e culturali messi insieme in uno spirito di effettiva cooperazione, progetti la cui realizzazione significasse utilizzo delle nuove tecnologie e sviluppo delle potenzialità produttive di piccole e medie industrie. Di qui il prevalente interesse a finanziare i progetti integrati (Integrated Projects) che significhino reale avanzamento e innovazione nel settore delle digital libraries, dei laboratori virtuali, attraverso l’impiego del digitale quale mezzo per l’accesso diffuso alla Cultural Heritage, magari anche a scopi di preservation.
Sotto l’aspetto poi della disseminazione di una cultura della cooperazione e della realizzazione di sinergie da porre in essere, L’UNESCO e il Consiglio internazionale degli Archivi, hanno svolto e stanno di fatto svolgendo un ruolo determinante di stimolo per l’attuazione di progetti coordinati che spingano risorse umane e economiche mirate a limitare e colmare, se possibile, il divario tecnologico tra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo, al fine di sensibilizzare le autorità politiche a dedicare investimenti cospicui alla conservazione e al salvataggio di buona parte del patrimonio e della memoria di quelle realtà nazionali che non sono in grado di provvedervi, ma la cui salvaguardia è cruciale non solo per il singolo Paese, ma per la comunità civile di tutto il mondo. Forse attraverso la Conferenza della tavola rotonda dei direttori degli archivi di tutto il mondo (CITRA), attraverso le periodiche riunioni dei direttori generali dei Paesi afferenti all’Unione europea, il Consiglio internazionale degli archivi (ICA) potrà esercitare quella capacità di penetrazione, attraverso la fitta rete di relazioni che nel corso di oltre cinquant’anni ha intessuto con le amministrazioni archivistiche del nostro pianeta, essenziale per individuare, se non altro, metodologie idonee ad intervenire sul terreno della prevenzione, della diffusione dell’informazione, della conservazione dei beni documentari. E il modo con cui poter svolgere tali compiti, credo sia solo quello di mettere sul tappeto dei progetti.
Se, come disse alcuni anni or sono, Trudy Peterson[6], la conservazione è un processo da gestire, non un problema da risolvere, questo implica anche porre forte attenzione su ciò che realmente dovremmo conservare a futura memoria.
5- Ancora la selezione e la scelta della Memoria del Mondo
E’ infatti ampiamente condivisa la convinzione che la centralità della prevenzione e della conservazione nell’ambito della gestione del patrimonio, di una collezione bibliografica o documentaria, di una raccolta, di un archivio, non sono mai stati posti in dubbio per chi intenda il ruolo della professione nella sua essenza, un’essenza che non si fa ingannare né dalle infatuazioni tecnologiche per un verso, né da un approccio alla conservazione che non tenga conto della responsabilità di organizzare anche la fruizione per il futuro, oltre che nel presente, del bene.
In breve, un nodo ineludibile appare per la conservazione la selezione intelligente di ciò che si vuole mantenere come testimonianza qualificante del nostro tempo. Aprirei un’altra relazione, se mi addentrassi su questo tema, veramente drammatico e nevralgico per l’intera questione relativa alla conservazione dei beni culturali documentari. Voglio solo dire che non bastano le soluzioni tecniche, ma occorre cultura, consapevolezza del valore di ogni testimonianza e capacità di giudizio nel momento che si condanna alla distruzione buona parte di ciò che viene prodotto dal nostro tempo. Come ci vuole cultura e formazione specifica per comprendere che non è il restauro ovvero l’intervento diretto sul bene deteriorato che può costituire il rimedio per il patrimonio archivistico. Il restauro è solo l’ultima sponda, cui ricorrere quando sono falliti o non sono stati perseguiti gli altri e precedenti momenti della conservazione.
Il problema della conservazione, in tutte le sue espressioni, è quello della complessità, dovuta in buona misura alla massa d’informazione prodotta e al fatto che bisogna anche ricordare che certi tipi di informazione non sono accessibili che attraverso dei mezzi meccanici: PC, lettori di carte perforate, grammofoni, ecc. Questo significa lavorare perché l’informazione registrata sia sempre leggibile nel tempo. Anche queste sono misure preventive.
Inoltre, è bene riaffermare oggi e qui, che la conservazione della memoria e la sua trasmissione sono la condizione fondamentale per la permanenza nel tempo delle civiltà e delle culture, presupposti perché esista una storia.
Alla base c'è tuttavia un imperativo da cui non si può in alcun modo prescindere. Le scelte o quanto meno lo scegliere sempre e comunque prima ancora di sapere come conservare sono il punto fondante e preliminare di ogni progetto di prevenzione, conservazione e ripristino dei beni documentari. La cultura della conservazione implica l'eliminazione di molte possibilità per accogliere l'unica possibilità di trasferire al futuro qualcosa che rappresenti la nostra identità e continuità. E’ l’arduo problema di cosa tenere e di cosa liberarci.
Ma ancor prima della selezione e della scelta c'è alla base di questo secolo e degli ultimi decenni di quello passato una sorta di ansia che ci porta a dare risalto alla memoria, che ci fa aggrappare alla memoria, enfatizzandola oggi più di ieri. Tanto più incombe l'incertezza del futuro, tanto più gli elementi del presente appaiono condizionare il futuro anzi costruire il futuro in una dimensione che allarga la contemporaneità. La stessa ansia accresciuta dal senso di precarietà in cui oggi viviamo ci conduce con nuova aspettativa a trovare rifugio nel passato e a costruire con i tasselli della memoria il futuro. Con un certo azzardo direi che oggi la disciplina di noi archivisti è scienza progettuale del futuro. Gli elementi del presente, i soggetti e le loro scelte condizionano il futuro.
Sotteso a tutto ciò, esiste però un'antinomia, costituita dall'orizzonte del nostro presente che, negli interessi quotidiani è sempre più limitato nello spazio e nel tempo, e, sempre più limitata è l'aspirazione a mantenerlo quale punto fermo, mentre forte è il desiderio, spesso velleitario, di lasciare solide tracce del nostro mondo per darci un'identità e per liberarci dall’incubo della scomparsa della memoria.
Ma un dato, oggi emerge chiaro nella consapevolezza di noi tutti, un dato per cui non è soltanto la preoccupazione della conservazione della memoria collettiva a spingerci verso le tecnologie moderne nella aspettativa di risposte adeguate per mantenere nel tempo i supporti materiali cui sono affidati i documenti di qualsiasi natura essi siano, ma piuttosto il desiderio di ricercare i presupposti e le condizioni per creare e conservare i capisaldi della nostra identità e continuità nella storia.
Mai come nella nostra difficile stagione in cui la riflessione critica conta parecchio, il tema e il problema correlati alla conservazione delle memorie contemporanee individuali e collettive costituiscono un crocevia che vede l'intreccio di competenze variegate e diverse, direi un punto obbligato di fronte al quale si trovano le società e le culture di questo nuovo Millennio. Iniziative di grande momento sono fiorite nel mondo con la finalità di fissare e tutelare quella che veniva riconosciuta come la propria Memoria, ovvero identificare quel patrimonio documentario che meglio di altri rappresentasse ciò che esprimeva il percorso, il complesso dei valori alla base di una civiltà e su cui concentrare un’attenzione viva e vigile. Ecco allora, sotto l’egida e l’iniziativa dell’UNESCO il lancio di vari programmi dei “Registri della Memoria”: Memoire du Monde, i registri nazionali e quello europeo.
Molte altre proposte sono state discusse e sono in discussione e la stessa Comunità europea mostra di aver interpretato il problema. Altre iniziative sono avviate da agenzie internazionali, prevedendo sforzi di cooperazione fra tutti i Paesi più avanzati, per trovare insieme le soluzioni al problema della tutela della documentazione. Penso anche agli sforzi del Consiglio internazionale degli Archivi, che in occasione delle annuali Conferenze dei direttori generali degli archivi di ben 170 realtà nazionali (CITRA), programma riunioni degli otto Paesi più industrializzati (G8 della cultura), per tentare di individuare risorse, criteri e progetti utili ad aiutare i Paesi in via di sviluppo a proteggere, comunicare e sviluppare il loro patrimonio documentario, anche e soprattutto colmando, almeno parzialmente, il divario tecnologico.
Si è entrati da più parti nel mondo in un rapporto di riflessione con il proprio passato e le sue testimonianze nella convinzione di poter rintracciare ciò che può rappresentare il nucleo della propria identità, rivendicandone e ricevendone un riconoscimento dalla comunità internazionale, non solo per una tutela più forte, ma una conferma del valore unico e irripetibile di quel patrimonio culturale. La dichiarazione, pronunciata da un organo sopranazionale traduce un complesso documentario da una realtà a valenza particolare in un valore condiviso dal resto della comunità umana.
Anche in questo campo viene continuamente fatta una selezione e una scelta. Sono e vengono escluse le altre possibili candidature, non perché non valide, ma solo perché non tutto può assurgere a valore simbolico, a spaccato di una realtà.
Vengono, poi, alla mente gli attributi che noi assegniamo alla società attuale, la cui peculiarità può essere sintetizzata nel connotato della complessità. Le classificazioni e le stratificazioni sociali del recente passato, i codici comportamentali e la loro trasmissione sono largamente saltati o superati. Al loro posto si impongono la frammentarietà, la segmentazione e le articolazioni quantitativamente e qualitativamente indefinite e non individuabili con certezza. Questi sono i tratti comuni ravvisabili nelle nostre comunità.
Come dare a questa realtà, sfuggente e pur multiforme un rilievo significativo e significante e trarne l’intelaiatura essenziale attraverso le asciutte operazioni della selezione e della scelta che condannerà all’eliminazione gran parte della documentazione? Questo perché ben sappiamo che solo da una drastica cernita dei materiali documentari possiamo sperare di poter lasciare una traccia del nostro presente.
Come passare, però, alla futura memoria un’immagine pregnante di questa realtà, sfuggente e sterminata nelle sue espressioni variegate e antitetiche? Quali sono gli strumenti interpretativi, quelli tecnici, l’attrezzatura culturale da mettere nella “valigia” di noi operatori della conservazione della memoria, perché essa duri nel tempo? Come dare rilievo e spessore a quelle sedimentazioni di oggi e traghettarne l’immagine nel mondo di domani?
Sono le domande che sempre più spesso ricorrono e si presentano prepotentemente alla nostra professione e alle quali le risposte sono sempre più deboli. Cultura, tecnologia, professioni, da mantenere con un aggiornamento continuo e sempre più articolato su nuove discipline, sembrano proporsi come gli ineludibili ingredienti delle attività connesse alla salvaguardia e alla difesa del patrimonio documentario. Sempre più nel futuro prossimo rendere la conservazione un obiettivo compatibile con le risorse in campo, umane, finanziarie, culturali, scientifiche, significherà eliminare e condannare all’oblio molto di ciò che viene prodotto dal nostro pensiero e dal nostro agire.
Diversamente accadeva nel passato anche recente. A decretare la distruzione dei segni documentari della storia e del suo scorrere sono stati per lo più il tempo, gli accadimenti disastrosi quanto imprevedibili, l’incuria umana, l’incompetenza degli addetti, la fragilità e la cattiva qualità dei supporti. Voglio dire che quasi sempre la selezione avveniva casualmente e senza una finalità intelligente, anche se questi fattori di perdita rimangono al nostro orizzonte. Dunque come mettere in atto il complesso di azioni, dirette e indirette volte a rallentare il degrado delle componenti materiali dei beni documentari e bibliografici? Questa è prevenzione e conservazione, aspetti della tutela, ovvero della conoscenza anche della natura fisico-chimica e biologica dei beni.
6 - Cooperazione nella formazione
Al tema della formazione di coloro che operano negli istituti di conservazione, siano essi archivisti che bibliotecari o conservatori, negli ultimi quindici anni si è data notevole attenzione, non sempre accompagnata e ovunque in Europa da risorse economiche e progetti innovativi adeguati, poiché sappiamo che la formazione non avviene più in un periodo unico dell’attività curriculare o della propria attività lavorativa. Se essa deve essere intesa come un processo continuo e non come una fase da percorrere una sola volta, è necessario ricorrere a capacità progettuali, intelligente consapevolezza, individuazione precisa degli obiettivi, attivazione pronta delle linee di attività che possano portare a compimento le ipotesi iniziali. Del resto, è comunemente condivisa l’idea che la formazione debba tradursi in momenti di acquisizione di autonomia e di capacità gestionali con ampie ricadute sui processi decisionali.
Nevralgico è quindi il compito della formazione delle varie professionalità che sono impegnate nell’ampia problematica del patrimonio, in un’area geografica come l’Europa, fortemente connotata sotto il profilo culturale, estremamente complesso e intrecciato con altri fattori, in cui la tradizione delle “piccole regioni” gioca un ruolo fondamentale. Si tratta, allora, di cogliere quelli che devono essere i percorsi di base e poi di specializzazione, di enucleare i compiti primari e secondari di coloro che assumono la responsabilità di realtà uniche al mondo. Per sintetizzare, oggi all’archivista, ma credo anche al bibliotecario o a colui che opera in un museo, si richiede una formazione e un insieme di conoscenze tecnico-scientifiche, da dispiegare in compiti di gestione e di studio del patrimonio cui si è preposti.
C’è poi da accennare all’annoso problema che non sempre la conservazione dei beni documentari va d’accordo con la fruizione diretta dei beni. Ecco allora farsi strada la riproduzione dei beni.
Sappiamo, infatti, che benché negli istituti di conservazione siano presenti professionalità tecniche, distinte dagli archivisti o dai bibliotecari, essi operano spesso sotto la direzione di questi ultimi. Non sempre costoro sono sufficientemente esperti nelle tecnologie applicate, specialmente se consideriamo, come ho ricordato in apertura, la presenza crescente nel novero delle fonti documentarie, delle fotografie,[7] degli audiovisivi, i documenti elettronici e digitali, pellicole cinematografiche e quant’altro. Le varie amministrazioni archivistiche europee saranno necessariamente sospinte nel prossimo futuro a sviluppare settori tecnici, dove inserire anche gli archivisti. E’ ben noto a tutti che, i nuovi metodi di riproduzione applicati ai documenti tradizionali, collegati ai sistemi di ricerca in rete, richiedono una competenza tecnica in rapporto a questi ultimi. Ma è il settore della conservazione nella sua più ampia accezione, sia dei documenti tradizionali, come anche di quelli su supporti diversi dalla carta o quelli riprodotti, è strettamente connesso e dipendente da attrezzature tecniche, dal rispetto di modalità specifiche di conservazione, dalle conoscenze e esperienze scientifiche, dal possesso di precise procedure e metodologie di analisi e di intervento.
Gli archivisti, come anche i bibliotecari, non potranno più ignorare questi settori, pena la loro incapacità e l’immobilismo nell’effettuare scelte valide sotto il profilo dell’efficacia della loro gestione. Si tratta di un nuovo banco di prova per la professionalità, se non vogliamo che essa diventi marginale nei confronti di altre professioni che con prepotenza, consapevolezza del ruolo, superiorità tecnologica si stanno facendo largo sul palcoscenico della tutela, della comunicazione, della promozione dei beni culturali archivistici.
Solo da un grande sforzo di collaborazione dei vari Paesi, dalla individuazione di percorsi formativi che non disperdano risorse, dalla reciproca informazione utile a non ripetere le stesse esperienze o gli stessi errori, può giungere se non una soluzione, almeno un rimedio all’obsolescenza del mestiere dell’archivista o del bibliotecario.
Se le università europee, con interventi non sempre dello stesso spessore, stanno afferrando la sfida “dei beni culturali”, tali iniziative non vengono spesso poste in essere in accordo o in raccordo con i soggetti cui poi spetta la conservazione attiva dei beni in questione. In Italia, fortunatamente, si stanno avviando sempre con maggiore frequenza e con risultati discreti, forme di collaborazione tra dipartimenti universitari e istituti e professioni addetti alla custodia della documentazione. Le forme di tale cooperazione, se inizialmente assumevano la forma della docenza da parte dei tecnici dei beni culturali presso i corsi accademici, ora questa assume contorni ben più incisivi, con l’allestimento di specializzazioni o di master professionalizzanti, dove ciascuna componente gioca un ruolo definito e non subordinato. Il risultato sarà senz’altro quello di una integrazione tra le varie professionalità, nella ricerca non vana di trovare percorsi formativi concreti e non solo teorici. La possibilità, inoltre, di misurare la valenza di metodologie di analisi e di intervento, da parte delle università, direttamente sul patrimonio del nostro Paese, rappresenta un’occasione irrepetibile e di grande valenza formativa.
Per i beni archivistici e librari si tratterà di verificare la percorribilità di una stretta e paritaria collaborazione tra gli Istituti del Ministero per i beni e le attività culturali e l’istituzione universitaria, nella prospettiva di non disperdere risorse umane e materiali e di potenziare la valenza di una formazione che si avvalga delle conoscenze teoriche dell’accademia e di quelle concrete nate dalla quotidiana esperienza della tutela e dagli interventi di ripristino sui beni.
Responsabilità essenziali per coloro che presiedono il governo del patrimonio documentario sarà sempre più quello di assicurare la diffusione della consapevolezza e condividerne le responsabilità che ne conseguono, ovvero che la memoria del passato e del presente debba e possa essere trasmessa, e, stimolare la ricerca scientifica e tecnologica per individuare strumenti sempre più efficaci per la realizzazione ottimale di tutto questo. 1 Sui problemi della conservazione dei beni documentari prodotti nel Novecento, si segnala l’attenzione riservata dal Salone del Restauro, che ogni anno a Ferrara, dal 2000, ad opera dell’Istituto dei beni culturali della Regione Emilia-Romagna, organizza, in collaborazione con gli istituti del Ministero per i beni e le attività culturali (ICPL, CFLR, ecc.) e con le associazioni professionali AIB e ANAI, convegni dedicati ogni volta a particolari settori : i beni documentari nati su supporto digitale, le fotografie, le legature e le copertine dei libri. Vedi in proposito: Conservare il Novecento. La fotografia specchio del secolo, a cura di Giuliana Zagra, Roma, Associazione italiana biblioteche, 2004.
2 In base alle norme vigenti fin dal dpr 1409/63, poi riconfermate dal Testo unico dei beni culturali, dlgs 499/1999 e ora contenute dal Codice dei beni culturali, varato il 22 gennaio 2004 e in vigore dal 1° maggio 2004, i documenti non più utili al servizio attivo degli uffici che li hanno prodotti, sono versati ai competenti Archivi di Stato (competenza per provincia), dopo essere stati sottoposti ad operazioni di selezione. Sono previsti anche termini abbreviati qualora intervengano ragioni di dispersione o danneggiamento delle stesse carte.
3 In Francia, ragioni pratiche e teoriche, hanno da tempo privilegiato la scelta della costruzione di nuovi edifici alla soluzione del riadattamento di palazzi storici a sedi di archivio. Su tale settore è fiorita nel Paese una nuova disciplina archivistica, l’”Edilizia archivistica”, con un Ispettorato appositamente creato nell’ambito delle competenze della Direction des Archives de France e con la produzione di un’ampia letteratura, che vede in Michel Duchain il suo più illustre rappresentante. Cf. in proposito, Direction des Archives de France, Les Batiments d’Archives, Construction et E'quipments,… par Michel Duchein, Paris Archives Nationales, 1985.
[4] Si ricorda che un consistente sostegno alla tutela delle carte presenti negli archivi correnti e di deposito e, quindi, al rispetto della corretta gestione delle stesse, è venuta dal principio, consolidato prima nel Testo unico, art. 1, poi nel Codice dei beni culturali, per cui sono da considerarsi beni culturali anche gli archivi correnti della P.A.
[5] Vedi gli atti di due convegni, svoltisi a Udine (ottobre 2001), Memoria e Futuro dei documenti su carta. Preservare per conservare, a cura di A. Zappalà, Forum, Editrice universitaria udinese, Udine 2002 e a Taormina (febbraio 2003), Giornata di studio "L'Intervento d'avanguardia: deacidificazione a libro integro", 17 febbraio 2003 (atti in corso di stampa); un seminario sullo stesso tema si è svolto a Roma, il 13 ottobre 2003, presso l’Archivio centrale dello Stato.
[6] Già in servizio presso il NARA (National Archives and Records Administration – Archivio federale USA, Washington) come archivista, è stata responsabile della Open Society a Budapest e ora presta la sua collaborazione a Ginevra presso la Commissione per i rifugiati politici. E’ stata membro anche di diversi organismi dell’ICA (International Council on Archives), quali il European Coordinating Board on the Archives, il Legal Matters Committee, ecc.).
[7] Alla Fotografia, quale bene documentario, è da qualche anno riservata attenzione specie sul piano della formazione di coloro che sono preposti alla conservazione e alla gestione degli archivi e delle raccolte fotografiche. A tale proposito si ricorda il progetto SEPIA (Safeguarding European Presevartion Images Access) nel quadro del programma europeo Cultura 2000, il cui capofila è stata la European Commisssion on Preservation and Access. Anche in Italia (27-29 ottobre 2003), presso il Centro di fotoriproduzione legatoria e restauro si è svolto un seminario di formazione per gli addetti come momento conclusivo del progetto. Sul tema della formazione dei gestori e conservatori dei nuovi media, specie le fotografie, si svolse nel 2004 presso il CFLR, un corso sperimentale di alta formazione, “La Fotografia. Tecniche, Materiali, Linguaggi-Conservazione, Restauro, Accesso” (Gennaio- Giugno 2004), in collaborazione con l’Istituto centrale per la Patologia del Libro e il Dipartimento di fisica dell’Università “La Sapienza” di Roma, il Consorzio MAAS, Roma Ricerche. |
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